Claudio Rizzi

Catalogo della  Mostra

Luci della Ribalta - Spazio Tadini, Milano

aprile 2009

 

L’espressione è molto seria. Se non lo si conosce, cala un velo d’ansia, oppure un senso di colpa.
Ma, se questa è l’apparenza, diversa è la realtà. Balena anche un senso di ottimismo, il lato positivo delle cose, la consapevolezza di una dimensione faticosa ma serena.
Claudio Borghi appartiene alla generazione che ancora si è abbeverata ai valori storici e si è nutrita di ideali sociali, culturali e democratici. Non solo per scelta ma per influenza di un’epoca, forse ultima, evoluta poi e male nell’equivoco di pensiero.
Ha creduto, si è impegnato tanto da non cessare neppure oggi il dispendio di energie, ha promesso e mantenuto ma quando si guarda intorno, come succede a molti altri superstiti di indomabile fede, non riscontra molto per rallegrarsi.
Vive dove è nato, a Barlassina, ma la concezione del mondo è aperta. Ha le radici nel luogo, nel suo paese e non le sradicherebbe mai, per genetica e per passione ma l’ottica è acuta e la proiezione all’orizzonte spazia ben oltre.

All’attenzione in profondo, nella lettura, nella musica, nella storia dell’arte, corrisponde lo sguardo in orizzontale, spazio, geografia e condizione universale.
L’angolo della visuale non preclude la prospettiva.
Forse è questo uno dei motivi che animano il suo lavoro nella profondità del vuoto e nell’esilità solida delle strutture. Nella costante precarietà, simbolo e ricerca al contempo, di un equilibrio difficile eppure possibile, di un imperativo d’approdo o dimensione ideale.

Spazio e volume danzano nella scultura e non eleggono mai un vincitore, preferiscono connubio e simbiosi, come dire che convivere, oltre che possibile, è anche bello.
Un tempo campeggiava il paesaggio. Visione dall’alto o verticale, inconsueta nell’emozione, immediatezza incombente come se la natura improvvisamente si ribaltasse e franasse contro.
Alla fase di percezione naturalistica ha fatto seguito una ricognizione esistenziale e il meditativo Claudio Borghi, nella sua espressione corrucciata, ha interpretato più da vicino il proprio ritratto.
Lo studio è un’officina. Il freddo invernale è classico delle fucine di quel territorio nel tempo.
Non ha mutato il senso del lavoro, ne ha solo aperto gli orizzonti.