Alberto Ghinzani

Alberi curvati dal vento, tracce di solchi e impronte, corpi come tronchi che si divincolano dal peso della terra:  le sculture di Borghi, che pur nella loro evidenza fisica, sviluppano accadimenti minimi, in continuo flusso tra l'organico, il vegetale, il corporeo. Dalle figureche rimandano agli anni di apprendistato a Brera, fino ai recenti paesaggi - frammenti forse - è tutto un tendere ad "altro" che non sia l'immediata rispondenza dell'immagine, quasi che la lontana matrice informale di queste opere consenta di liberare una serie di simboli e segni altrimenti racchiusi nella solidità della materia. Così la superficie si anima dove più a lungo insiste la mano e leviga ed accarezza, la spatola approfondisce e corrode; dove più intenso sia il nodo da sciogliere, avviluppare, contorcere.

 

E' sempre complesso seguire il percorso di giovani artisti: le loro esperienze non coincidono quasi mai con quelle delle generazioni precedenti; in questi anni, poi, intorno ad essi tutto appare così precario. Degli scultori si dice abbiano la singolare fortuna di non avere mercato, di sfuggire, quindi, agli interessati approcci dei critici-managers; resta pur sempre l'equivoco di una scultura formalista da utilizzare come "arredo urbano", disponibile e proponibile in qualsiasi occasione sotto qualunque latitudine. Non stupisce, allora, che il giovane Borghi presti attenzione ad esperienze che solo in apparenza appaiono scontate - Rodin, i simbolisti come Biegas - pur di ritrovare un nuovo punto di partenza da cui svolgere il filo dei suoi pensieri e progetti. Come per me e per altri, lo aspetta un lavoro segreto e difficile che, è lecito attendersi, saprà condurre avanti da solo.

 

                        maggio 1983