Stefano Fugazza
IL NUCLEO VIVO DELLE COSE
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Ci vuole del coraggio ad essere scultore oggi, molto più che in passato quando, ancora non molti decenni fa, alla scultura veniva attribuita una funzione celebrativa abbastanza riconosciuta.
Le esperienze più diverse, almeno dal 1960 in poi, hanno posto in dubbio l'esistenza stessa di questa branca tradizionale delle arti, contestandone l'identità, la ragione d'essere. Eppure, nonostante simile perplessità, alcuni hanno continuato ad operare in questo campo, non insensibili agli sconvolgimenti che mutavano continuamente il panorama artistico, ma anche tenacemente abbarbicati ad una idea di scultura come lotta con la materia, come necessità di lavorare il materiale fino a riuscire ad attribuirgli una forma provvista di un significato.
Tra coloro che hanno agito in questa direzione c'è anche Claudio Borghi. Questo non significa che egli sia uno scultore tradizionale, perchè anzi in lui è ben presente l'imperativo - già norma di un poeta francese - secondo cui bisogna essere assolutamente moderni, capaci, senza ignorare quanto il passato ha prodotto, di creare qualcosa che non si sia mai visto, ansiosi di avvenire.
Borghi difatti evita i compiacimenti descrittivi e tutte quelle eleganze formali, a volte suggerite dai materiali di cui si serve, che potrebbero rendere accattivanti le sue opere, e che egli, grazie alla sua abilità tecnica, potrebbe realizzare senza fatica. E' animato invece da una volontà semplificatoria, dalla ricerca di una purezza essenziale e robusta che lo porta ad eliminare il superfluo, a - che sia legno, metallo, gesso - come se fosse possibile, in questo modo, ragiungerne l'anima, il nocciolo archetipico e universale: vista però, in genere, non nella stasi ma in una fase già dinamica, mobile, volta al futuro.
Proprio questa ricerca, che si potrebbe a ragione definire filosofica per i suoi presupposti teoretici, impedisce a Borghi di lasciarsi troppo condizionare dalla suggestione lirica che costituisce spesso un punto di partenza. Alberi, pianure e nuvole e altre parvenze del reale rappresentano infatti una fonte di riflessione per l'artista che ancora una volta, come è successo infinite volte prima di lui (come accadrà ancora infinite volte) trova nella natura, nella terra e nei cieli, ma anche nell'uomo che della natura è parte, le ragioni di un confronto e di una lotta. Di una lotta, perchè il rapporto con le cose non è pacifico, e la materia sorda viene aggredita con accanimento umile e paziente (e non senza quel piacere che talora si accompagna allo scontro), la mente sempre rivolta alla ricerca della purezza. L'importante è sfuggire agli abbandoni sentimentali, in favore di una concezione robusta e severa della poesia per cui essa va colta senza cedere alle superficiali suggestioni, ai facili indugi.
D'altra parte, un intento così assoluto potrebbe portare verso ciò che pochi comprendono, verso l'esoterico e l'eccesso intellettualistico, cosa evitata grazie al riconoscimento che viene parcatamente concesso al fascino del colore, alla levigatezza o alla scabrosità delle superfici.
Una simile tensione, un identico equilibrio, cansapevolmente ricercato ma non frutto di compromessi, tra un intento rigoroso e un più affabile èsprit de finesse, si ritrova nei disegni. Essi non sono studi o abbozzi in funzioni delle sculture, ma opere autonome e parallele, nutrite dai medesimi succhi, e dunque in qualche modo animate da uno spirito agonistico ed al desiderio di restituire alle cose, quasi condensandole, la trama originaria, l'impronta definitiva e perenne.
Così, in questo scultore lombardo sensibile alla tradizione naturalistica della sua terra e capace di non tradire la fedeltà ad una concezione aspra e difficile del lavoro di artista, la scultura rivendica il suo diritto di riconoscere l'importanza del reale, del mondo esterno con la sua fisicità, la sua solidità e al tempo stesso il diritto di autonomia, di una rielaborazione fantastica che sappia rendere non le apparenze delle cose ma il nucleo magnatico perennemente vivo.settembre 1995